L’ipotiroidismo è una condizione in cui la riduzione dell’attività della ghiandola tiroidea e il conseguente abbassamento dei livelli circolanti di ormoni tiroidei comportano la comparsa di alcuni sintomi come stanchezza, sensazione di freddo, pelle secca, costipazione intestinale, basso tono dell’umore, aumento di peso, crampi muscolari, fino a (in alcuni soggetti) un evidente ingrossamento della ghiandola detto “gozzo”.
A causa dei bassi livelli di ormoni tiroidei, il Metabolismo Basale a Riposo (MBR) diminuisce e questo potrebbe influire sul peso corporeo.
L’aumento di peso dovuto all’ipotiroidismo, in sé, nella maggior parte dei casi non è comunque eccessivo — va dai 3 ai 5 kg — anche se dipende dalla gravità dell’ipotiroidismo; inoltre nella maggior parte dei casi l’aumento ponderale non è dovuto tanto all’aumento di massa grassa, quanto all’accumulo di acqua e sali.
Nell’ipertiroidismo, invece, l’organismo è esposto a quantità eccessive di ormoni tiroidei a causa di una patologia o di un trattamento; l’aumento del MBR può essere anche molto consistente e determinare una perdita di peso ingente, anche se spesso compensata da un’assunzione calorica maggiore..
I motivi per cui la tiroide può perdere funzionalità sono numerosi. Uno dei più frequenti è l’ipotiroidismo autoimmune: una condizione in cui il sistema immunitario attacca e distrugge le cellule della tiroide. Questa patologia può comparire all’improvviso o evolversi gradualmente nel corso della vita. La più comune è la tiroidite di Hashimoto in cui i linfociti producono anticorpi anti-perossidasi tiroidea e anticorpi anti-tireoglobulina, distruggendo le cellule della ghiandola tiroidea.
In altri casi, la tiroide può produrre pochi ormoni a causa dell’insufficienza di iodio nella dieta oppure di un malfunzionamento della ghiandola pituitaria che controlla la tiroide.
La terapia principale consiste nella sostituzione dell’ormone tiroxina con il preparato sintetico, assunto per via orale (in genere in pastiglie). Alcuni cibi possono quindi interferire con il suo assorbimento, perciò è meglio programmarlo al mattino a digiuno, almeno 30-60 minuti prima di colazione. In particolare i cibi ricchi di calcio — come latte, formaggi e yogurt — ostacolano l’assorbimento dell’ormone. È bene pertanto consumarli a distanza di tempo. Anche i supplementi di ferro ne ostacolano l’assorbimento e, quando sono necessari, andrebbero assunti dopo qualche ora dal farmaco.
In soggetti con ipotiroidismo, l’utilizzo di supplementi contenenti iodio in alto dosaggio potrebbe essere dannoso: la dose corretta è quindi sempre quella raccomandata dalle linee guida per la popolazione generale di 150 μg al giorno. Pertanto non è indicato neppure alimentarsi abitualmente di alghe, che possono essere troppo ricche di iodio.
Esistono poi alcuni cibi che, indipendentemente dal contenuto di iodio, possono avere un’influenza negativa sulla tiroide.
La soia — sebbene non provochi alterazioni della tiroide nei soggetti sani — oltre a interferire con l’assorbimento dell’ormone tiroideo aumenta rischio di sviluppare ipotiroidismo in individui con alterate funzioni tiroidee o in condizioni di inadeguato apporto di iodio. È importante che chi consuma abitualmente grandi quantità di alimenti a base di soia si assicuri che la presenza di iodio nella dieta sia adeguata, ma anche che non vi siano alterazioni a carico della ghiandola tiroidea.
Sempre parlando di effetti negativi, si definiscono gozzigeni tutti quei nutrienti o inquinanti che alterano le funzioni tiroidee: broccoli, cavoli e altri vegetali appartenenti alla specie delle crucifere sono stati studiati poiché contengono glucosinolati di varia natura, alcuni dei quali — come goitrina, nitrili organici e ioni tiocianato — ostacolano la captazione di iodio da parte della tiroide e l’inibizione della sintesi di ormoni, con conseguente aumento delle dimensioni ghiandolari; inoltre gli ioni tiocianato favoriscono l’eliminazione di iodio dalla tiroide.
L’effetto antitiroideo di questi vegetali dipende dal tipo originale di glucosinolato presente, ma soprattutto dal prodotto di idrolisi di questi composti che vengono attivati tramite scissione sia dalle mirosinasi (enzimi vegetali) sia dai batteri intestinali. Anche se inattiviamo le mirosinasi presenti nella pianta con il calore, goitrina e ioni tiocianato vengono attivati comunque tramite i batteri intestinali; pertanto la cottura è inefficace per eliminare completamente gli effetti antinutrizionali sulla tiroide. Tuttavia questi effetti sono stati riscontrati solo assumendo dosi molto elevate di crucifere (1,5 kg al giorno), mentre ai livelli normalmente consumati nell’alimentazione umana non sono riscontrabili e, anzi, prevalgono gli aspetti benefici dovuti ad altri componenti di altissimo valore nutrizionale, con effetti antitumorali e cardioprotettivi. Ragione per cui non è necessario escluderli completamente dalla dieta: è sufficiente limitarne il consumo.
Altri cibi che sono in grado di influenzare la tiroide sono quelli contenenti glucosidi cianogeni: questi composti inducono ipertrofia o iperplasia della ghiandola tiroidea, con alterazioni delle funzioni e abbassamento dei livelli di ormoni tiroidei nel sangue. Questi glucosidi non sono dannosi solo per la tiroide, ma anche per il sistema nervoso, soprattutto nei bambini e se consumati in dosi elevate (0,5-3,5 mg/kg di peso corporeo) possono essere letali. Ne troviamo alte concentrazioni nelle mandorle amare, nelle armelline (semi contenuti nel nocciolo di albicocche e pesche), usati per il sapore amarognolo in pasticceria o per produrre liquori o sciroppi, ma anche nelle foglie e nei fiori di albicocco. Se l’assunzione di queste sostanze è elevata può dar luogo a diabete, malformazioni, malattie neurologiche e disfunzioni tiroidee quali il gozzo. In studi condotti su maiali si è evidenziato che l’intossicazione da cianogeni aumenta il glucosio nel sangue e diminuisce i livelli di ormoni tiroidei.
Alcuni alimenti tropicali risultano particolarmente dannosi per la tiroide se non sono prudentemente lavorati.
Per esempio la manioca (yuca o tapioca), un alimento di sussistenza fondamentale per le popolazioni del continente africano, contiene linamarina, un composto cianogeno. In alcune aree geografiche, in cui il consumo è prevalente rispetto ad altri alimenti, si registrano più frequentemente avvelenamenti cronici da cianuro che causano uno stato patologico detto Konzo. L’ammollo, la fermentazione, la seccatura o la bollitura della manioca (lavorazioni previste dalle preparazioni di piatti tradizionali) riducono il contenuto di cianogeni del 90% circa, rendendola adatta al consumo umano.
I germogli di bambù sono invece un alimento molto usato nel sud-est asiatico. Ricchi di proteine, vitamine, minerali, fibre e antiossidanti, contengono però anche cianogeni che devono essere rimossi nelle varie fasi di preparazione (ammollo, bollitura…). Anche il bambù può avere un effetto negativo sulla funzionalità tiroidea, tanto che in alcune regioni indiane, dove il consumo è elevato, c’è un’alta prevalenza di gozzo nonostante un’assunzione di iodio adeguata.
Un importante micronutriente che, invece, è positivo per la funzionalità tiroidea è il selenio: è importante sia perché indispensabile per la formazione di ormoni tiroidei attivi, sia per l’attività antiossidante (attraverso glutatione perossidasi etioredoxina reduttasi) utile per la funzionalità della ghiandola in caso di tiroiditi autoimmuni e per la protezione dai radicali liberi che danneggiano le cellule tiroidee. Infine, bassi livelli di selenio sono stati associati a un maggior rischio di cancro alla tiroide.
fonte :Emanuela Fe’ .La scuola di Ancel